Tempo di cambiare

Parla Paolo Buzzetti, presidente Ance

A ormai tre anni dall’inizio della crisi, forse la più feroce mai vissuta da sempre dalle economie occidentali, abbiamo provato a fare il punto sul settore delle costruzioni con chi il comparto lo vive tutti i giorni sul campo, l’Ance; lo abbiamo fatto in un’intervista con Paolo Buzzetti, presidente dell’Associazione nazionale dei costruttori edili.

Presidente Buzzetti, facciamo un punto sommario sullo stato di salute del settore?

Direi che la prognosi è ancora riservata, siamo ormai al terzo anno di crisi e rileviamo una preoccupante riduzione del 17% degli investimenti nel settore delle costruzioni che è ormai tornato ai valori della fine degli anni ’90; questo significa, non solo una contrazione nel valore portato al Pil dal nostro segmento estremamente significativa, ma anche, e soprattutto, circa 250.000 posti di lavoro “bruciati dalla crisi”. E non è finita qui; ci sono fattori di forte preoccupazione che, se non contrastati subito, rischiano di generare una “tempesta perfetta” destinata a incidere ulteriormente sulle imprese già provate: i capitoli di spesa dedicati alle opere pubbliche sono fermi (34% di cantieri in meno), il Piano di stabilità blocca completamente anche i Comuni virtuosi che non possono spendere neppure le risorse che hanno fisicamente disponibili in cassa, le delibere Cipe per investimenti già stanziati sono ferme e soprattutto rileviamo il permanere del cancro dei ritardi dei pagamenti da parte degli Enti pubblici che, in alcuni casi, raggiungono punte incredibili di anni (con una media di sei mesi). Se a questo aggiungiamo le norme per la regolamentazione del credito di Basilea 3 che obbligano gli istituti bancari ad alzare le soglie di protezione e mettono in forse gli investimenti nel nostro comparto, come vede c’è da preoccuparsi. Ricordo che Bankitalia definisce a rischio gli investimenti nel nostro settore.

Che fare quindi per aiutare il segmento?

Come Ance ci rendiamo perfettamente conto che la crisi economica non consente interventi “a pioggia” come è accaduto a volte (poche) in passato, ma riteniamo che ormai siano indifferibili una serie di provvedimenti decisi, inquadrati in un piano strutturale di crescita per il settore delle costruzioni che rappresenta un ambito strategico per la crescita del nostro Paese. Per chiedere con forza tali riforme siamo già scesi in piazza, per la prima volta nella nostra storia, a Roma lo scorso primo dicembre; ripeto, chiediamo riforme a costo zero e soprattutto una nuova politica industriale per il nostro settore. Sicuramente si può lavorare molto per abbattere le tempistiche di assegnazione delle gare, come anche quelle ormai insostenibili dei pagamenti delle PA; chiediamo inoltre al governo di porre maggiore attenzione nell’individuazione delle opere pubbliche da finanziare con le risorse che sono disponibili, in un quadro che favorisca le piccole e medie imprese di costruzione, che sono la colonna portante del settore, ma anche quelle più duramente colpite dalla crisi. Vogliamo pensare a un quadro generale normativo-applicativo che consenta alle concessionarie di destinare una quota di lavoro disponibile sulle grandi opere alle piccole e medie imprese, ma anche una revisione normativa che consenta alle concessionarie autostradali di appaltare le opere inhouse a soggetti esterni. Come vedete non si tratta di interventi onerosi, ma di moltiplicatori di crescita, volano quindi anche per il Pil del nostro Paese.

Ha anche parlato di un quadro strategico: a cosa fa riferimento?

Penso al patrimonio immobiliare italiano che in un recente rapporto Censis, che abbiamo commissionato come Ance, è definito così: “La quota di edifici con più di 40 anni, soglia temporale oltre la quale si rendono indispensabili interventi di manutenzione e/o di sostituzione di gran parte dei componenti edilizi dei fabbricati (pena la caduta stessa del loro grado di efficienza strutturale e funzionale), sta crescendo progressivamente. Basti ricordare che oggi quasi il 55% delle famiglie occupa un alloggio realizzato prima del 1971”. è evidente che questi edifici non sono stati costruiti rispettando le norme antisismiche e tantomeno quelle relative al risparmio energetico e all’ecocompatibilità. Un patrimonio enorme la cui riqualificazione non solo potrebbe migliorare decisamente la qualità dei nostri centri urbani, ma anche attrarre forti investimenti privati, ovviamente a fronte di un piano nazionale, coordinato da un apposito ministero, sostenuto sul versante fiscale, su quello della semplificazione normativa e su quello del risparmio energetico. In Francia hanno fatto così e oggi si vedono i risultati, con un settore edile in forte crescita, secondo solo a quello tedesco in Europa: Oltralpe si è varato un Programma città che prevede mutui a tasso zero per le riqualificazioni, gli incentivi fiscali e le semplificazioni procedurali. Questo chiediamo al governo anche in Italia: portare le città al centro dell’attenzione dato che è proprio nelle grandi città che si genera, a livello mondiale, più della metà del Pil. Ovviamente anche le imprese devono cambiare e lo devono fare seguendo due pilastri chiave: quello della qualità (di processo e di prodotto) e quello dell’organizzazione aziendale. Solo in questo modo come segmento potremo uscire dalla crisi e, come Paese, restare fra le prime economie a livello mondiale.


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